Trieste - Campo Marzio, Riva Grumula e Via Ottaviano Augusto
Verso la fine del '700 si iniziarono ad interrare i bassi fondali e le insenature dalla riva . LAZZARETTO SAN CARLO Nel 1717 Carlo VI concesse il portofranco e dichiarò "sicura e libera la navigazione nel mare Adriatico". Come primo provvedimento nel 1721 l'imperatore volle che il porto venisse dotato di un lazzaretto, l'inizio della costruzione fu rinviata per la scelta della zona, alfine si optò per il Campo Marzio, su un'area occupata da saline ormai dismesse. I lavori si rivelarono impegnativi, si iniziarono a interrare i bassi fondali, le insenature e le saline, inoltre sorsero problemi di ordine burocratico ed economico e un incidente diplomatico, dati soprattutto dalla difficoltà di reperire il materiale necessario per l'interramento e la costruzione. Il Lazzaretto San Carlo, così denominato in onore all'imperatore, fu completato solo nel 1731, contemporaneamente venne creata la prima strada litoranea per permettere il collegamento con il lazzaretto. Il complesso piuttosto sobrio era formato da un edificio principale, da una cappella dedicata a S. Carlo Borromeo e altre costruzioni che nel tempo cambiarono destinazione, il tutto circondato da un alto muro con guardiole angolari. Dal 1769, con la costruzione del Lazzaretto di S. Teresa, quello di San Carlo fu chiamato vecchio e divenne sussidiario al nuovo. Oggi superstite solo l'edificio principale, che dal 1969, con progetto degli interni e allestimento di Umberto Nordio, è diventato sede del Museo del Mare. Dei tre portali monumentali è rimasto solo il principale, quello verso il mare è stato sostituito da uno di aspetto modesto, l'altro, che immetteva nel piazzale, fu demolito dagli Anglo-americani nel 1950, il vasto cortile contornato da portici fu demolito nel 1935 per lasciare il posto al mercato ortofrutticolo all'ingrosso. (fonte; Margherita Tauceri)
Museo del Mare in Via di Campo Marzio 3: L' edificio fu costruito tra il 1720 e il 1730. Faceva parte del complesso denominato Lazzaretto vecchio o San Carlo.
Agli inizi del Settecento, con l'istituzione del Porto Franco, l'imperatore Carlo VI decise la costruzione di un Lazzaretto marittimo su un fondo in precedenza occupato da saline dimesse, già appartenuto alle monache di San Cipriano.
La costruzione del Lazzaretto San Carlo, iniziata nel 1720, fu portata a termine nel 1730. In origine il complesso aveva forma di pentagono, con feritoie sui muri esterni e vedette di guardia per i soldati. Il complesso comprendeva magazzini, case per i passeggeri, alloggi per gli ufficiali di Sanità e una cappella dedicata a San Carlo Borromeo.
Attualmente sono rimasti solo l'edificio a corpo centrale sopraelevato coronato a timpano, che in origine probabilmente ospitava la Direzione (Priorato) e gli uffici della struttura, e l'attiguo portale in pietra bianca calcarea. Un altro portale che faceva parte del complesso, realizzato in pietra arenaria, fu smontato dagli Anglo-americani nel 1950 e trasferito al Museo Diego de Henriquez.
Dal 1769, con la costruzione del Lazzaretto di S. Teresa, quello di San Carlo fu chiamato vecchio e divenne sussidiario al nuovo. Durante l'occupazione dei francesi fu utilizzato in parte come deposito per la marina, in parte come quartiere per i sodati e in parte come reclusorio femminile.
Con il ritorno di Trieste agli Austriaci, una parte della struttura continuò ad essere utilizzato con la sua funzione originaria e una parte fu destinata ad arsenale per l'artiglieria. Nel 1849 tutto il complesso passò alla Marina da Guerra Austriaca e dal 1868, con la costruzione del nuovo Lazzaretto a San Bartolomeo, fu destinato interamente ad arsenale d'artiglieria. La palazzina che ospitava la Direzione è stata restaurata nel 1969 dall'ingegnere Giorgio Sforzina quale sede definitiva del Museo del Mare, istituzione museale fondata nel 1922. (da: http://biblioteche.comune.trieste.it)
Perché ci sono 2 orologi solari sul vecchio edificio del Priorato ( = direttore) del Lazzaretto Vecchio?

A metà del settecento, ci fu la necessità di abbandonare l’ora italica, che partiva dal tramonto del sole, per abbracciare l’ora astronomica, che partiva da mezzanotte, quella che conosciamo noi tutti. Questo processo fu molto lento e convisse in città per più di un secolo. Fu così che si cercò di fornire alla popolazione triestina la lettura contemporanea dei due diversi segnali orari, anche nella speranza di potersi abituare col tempo al nuovo senza perdere il senso dell’orientamento. Da qui la soluzione di rappresentare, sulle pareti di questo importante edificio pubblico, oltre l’orologio solare a ore italiche (dove l’ora 0 parte dal tramonto), anche il suo moderno “gemello” a ore astronomiche (quando l’ora 0 parte dalla mezzanotte). Questo anche perché la città, quale porto di mare internazionale, e in particolare il lazzaretto, erano un crogiolo di razze e di culture, provenienti dal più disperati luoghi, che avrebbero avuto problemi di orientamento senza la contemporanea presenza delle due misure. In particolare, la presenza di una doppia meridiana nel lazzaretto di San Carlo fa pensare che i contumacianti, provenienti prevalentemente dai porti adriatici, come quelli dal territori veneti, da quelli degli Stati della Chiesa e del regno di Napoli, dove cioè la riforma non era ancora arrivata, erano più propensi a leggere l’orario dall’orologio solare italico che guardava proprio verso l’interno del lazzaretto, mentre il segnale orario delle ore “francesi” si poteva facilmente leggere al di fuori del lazzaretto, sulla pubblica via.
Si suppone che i due orologi siano stati qui disegnati nel 1747, quando a Trieste entrò in vigore l’ora “astronomica”. Poiché le vecchie rappresentazioni di due orologi col tempo e con le demolizioni sono andate perdute, probabilmente cancellate quali strumenti ormai obsoleti, oggi i due orologi solari, nell’intento di una rivalutazione storica, sono stati ridipinti nella ristrutturazione del 1969 sulla casa del priore, l’unica ancora in piedi. (Fonte: Dino Cafagna)
Androna Campo Marzio
Il complesso urbano di Androna Campo Marzio costituisce la prima area industriale di Trieste. Qui infatti, era ubicato l'originario stabilimento meccanico dell'Arsenale Marittimo del Lloyd Austriaco. La Società di Navigazione del Lloyd Austriaco fu fondata nel 1836 quale sezione marittima dell'omonima compagnia di assicurazione navale, e in breve ne divenne l'attività principale. Ben presto si profilò la necessità per il Lloyd di impiantare a Trieste un proprio Arsenale completo di officine e fonderia. In questo contesto si inserisce la figura dell'imprenditore britannico Iver Borland.
Borland, giunto a Trieste nel 1815, investì ingenti capitali tra il 1835 e il 1838 per l'acquisto di terreni siti nel comune censuario di Chiarbola inferiore. Divenuto titolare della proprietà, egli propose al Lloyd la costruzione a proprie spese dell'arsenale Marittimo, che poi avrebbe ceduto in locazione decennale alla Società di Navigazione. Nel 1838 Borland raggiunse l'accordo con il Lloyd e ottenne dall'Ispezione Edile Civile il permesso per la fabbricazione di magazzini destinati a deposito, officina e fonderia. Il gruppo più antico dei magazzini, costruiti sul lato sinistro dell'Androna, furono realizzati a partire dal 1838 e portati a termine entro pochi anni, in quanto presenti già nelle mappe del 1842.
Il fallimento di Iver Borland, con la messa all'asta di tutti i suoi possedimenti tra il 1844 e il 1846, e la guerra del 1848-1849, che indusse gli Austriaci a concentrare a Trieste tutta l'attività relativa alla Marina Militare, decretarono il progressivo spostamento dell'attività siderurgiche da Campo Marzio verso aree della città più suscettibili di espansione. Conseguentemente gli edifici costruiti sul lato destro dell'Androna, realizzati tra il 1852 e il 1854, furono progettati, non più per ospitare attività siderurgiche ma per attività di servizio, come evidenziato anche dalla diversa strutturazione rispetto ai fabbricati del lato opposto.
I fabbricati ubicati sul lato sinistro dell'Androna Campo Marzio, e corrispondenti agli attuali numeri civici 4, 6, 8 e 12 sono legati dall'adozione di un medesimo linguaggio architettonico: muratura perimetrale a grossi blocchi di arenaria e piano terra scandito internamente da pilastri a croce supportanti archi incrociati. La suddivisone dello spazio interno, con grandi arcate a croce, permetteva di ottenere spazi estesi da destinarsi a magazzini e attività produttive. Gli edifici, che non raggiungono altezze superiori ai 15 metri, corrispondenti a un pianoterra e due piani superiori, sono contigui sui due lati, con copertura a falda e manto in coppi. L'edificio identificabile con il civico 4-6 è nobilitato da un portale ad arco d'ispirazione classica con pilastri supportanti la trabeazione decorata con triglifi. Gli edifici costruiti sul lato destro dell'Androna, corrispondenti agli attuali numeri civici 1 e 11, sono caratterizzati da mura perimetrali a blocchi lapidei e strutture interne metalliche con piastrini in ghisa a sezione circolare. Anche le strutture orizzontali, realizzate con travi in legno nei magazzini del lato opposto, qui sono in metallo. La copertura è realizzata a capriate in legno e le forometrie di facciata sono circolari, rettangolari e arcuate. La facciata dell'edificio n. 11 si conclude con un timpano, in origine ornato con un bassorilievo. (da: http://biblioteche.comune.trieste.it)
La storia dell’industria triestina appare legata a due ordini di fattori; in primo luogo il porto con la sua graduale evoluzione da porto-emporio a porto di movimentazione delle merci, in secondo luogo uno sviluppo urbano limitato dalla presenza del ciglione carsico. Conseguentemente, con la vistosa eccezione del Punto Franco Nord (Porto Vecchio), il patrimonio di archeologia industriale a Trieste ha dovuto fare i conti con demolizioni e ricostruzioni, legate alla necessità di aggiornare gli stabilimenti nel corso del ‘900. Il complesso di edifici di Androna Campo Marzio, in quest’ambito, rappresenta un’eccezione alla regola: magazzini, stalle e officine parzialmente conservatasi dal 1830 al 1880 tutt’oggi utilizzati o come zona di stoccaggio o come “stalle” dei moderni destrieri ovvero automobili e motociclette. I primi insediamenti nell’area risalgono agli anni Trenta dell’ottocento quando la Società di Navigazione del Lloyd austriaco (1833) decise di munirsi di una propria officina e fonderia. Le prime navi erano state costruite nei cantieri inglesi e nel cantiere Panfili, ma presto il Lloyd spostò la costruzione “in casa”, destinando la zona di Campo Marzio a centro operativo. Il principale interlocutore a questo proposito fu un imprenditore inglese, John Iver Borland. Dopo essersi fatto le ossa nel commercio delle granaglie a fine ‘700, Borland si era dedicato all’industria, diventando il primo “barone” del vapore nella Trieste della Restaurazione. Con alle dipendenze un piccolo esercito di 800 operai Borland rimodellò radicalmente la zona di Chiarbola inferiore: costruì il piazzale e il viale di Sant’Andrea, “sbancando” la collina retrostante; sistemò il Piazzale dell’Artiglieria; e fu il primo a iniziare la costruzione dell’odierna via Franca. La visione di Borland non si limitava all’urbanistica, ma vedeva a Trieste quelle stesse potenzialità che avevano permesso la crescita delle grandi città industriali inglesi. Non a caso definiva Trieste una “seconda Liverpool”.(https://www.triesteallnews.it)
Stazione Rogers in Riva Grumula
Si tratta di un piccolo edificio, ex stazione di servizio della società Aquila (distributore carburanti e autofficina) inaugurato nel 1953, considerato una piccola gemma dell'architettura contemporanea italiana. Il progetto risale agli inizi degli anni Cinquanta ad opera del famoso studio milanese BBPR, di cui era membro l'architetto triestino Ernesto Nathan Rogers, ritenuto uno dei teorici e fondatori dell'architettura contemporanea italiana. La Stazione Rogers si caratterizza per la copertura ad onde sospesa su pilotis, per il largo impiego del vetro nelle tre sale, identiche ma slittate di una mezza lunghezza, per l'uso dei soli colori "aziendali". Adesso, "Uno degli elementi centrali del progetto - segnalano i progettisti - è la luce; sia quella diurna, che necessariamente significherà un'espansione degli spazi interni, come quella notturna che trasformerà "Stazione Rogers" in una lampada nella notte". L'intervento su quello che i progettisti hanno definito "un nuovo distributore di cultura" è stato eseguito dal gruppo di professionisti riuniti per questa iniziativa nella "Associazione Stazione Rogers" risultata vincitrice del concorso di idee per la riqualificazione dell'ex stazione di servizio e formata da tre entità: l'Associazione Ernesto Nathan Rogers per il progresso dell'architettura e della scienza promossa dagli architetti Luciano Semerani e Gigetta Tamaro, l'Associazione Trieste Contemporanea di Giuliana Carbi e Franco Jesurun e Comunicarte di Lorenzo Michelli e Massimiliano Schiozzi. (da: http://www.edilone.it)
Riva Grumula
Riva Grumula o Grumola o Grumulla Nome ottocentesco di etimo incerto con varie indicazioni da parte degli studiosi: Ireneo della Croce (1698) - grande mula per la vicinanza dei pascoli Pietro Kandler (1862) - groma o gruma dal latino, misura campestre Ettore Generini (1884) - grumulus, monticello Giovanni Lettich (1979) - grumus, gruma, piccola altura Alfieri Seri - Sergio Degli Ivanissevich (1980) - idronimo, indicante un basso fondale con un naturale accumulo di detriti. Inizialmente andava da piazza Giuseppina (p.zza Venezia), poi da riva T. Gulli a via Economo La morfologia del terreno era molto diversa da oggi, la sponda era più arretrata il mare arrivava fino alle vie Lazzaretto Vecchio, Economo e lambiva l'inizio della via Hermet. La riva non aveva argini e formava un arco molto ampio, quasi alla fine si trovava una piccola sacca, che successivamente sarà protetta da due moli, chiamata appunto Sacchetta (fonte: Margherita Tauceri)
Riva Grumola 10
Palazzo del 1913 in stile neogotico
tra Riva Grumola e Via Giovanni e Demetrio Economo
Sopra: Casa De Stabile del 1906 progettato dall'architetto Max Fabiani tra Via Belpoggio e Riva Gruuola - Il signor Ernesto de Stabile affida il progetto Max Fabiani per la realizzazione di uno stabile quattro piani, pianoterra e cantine solo in minima parte destinato ad abitazioni. Il proprietario si riserva l’ultimo piano come abitazione padronale, (di cui il Fabiani cura personalmente anche gli arredi interni in stile secessionista), e destina il piano terra a caffé viennese . Il de Stabile fa specifica richiesta all’architetto anche della realizzazione sulla facciata di erker che gli permettano di godere del panorama del mare ma soprattutto di vedere tranquillamente da casa il suo yacht ormeggiato allo Yacht Club Adriaco. La facciata quindi presenta sull’angolo fra riva Grumula e via Belpoggio un erker piuttosto aggettante che viene a formare un torretta cilindrica, il bugnato rinascimentale che copre il pianterreno e ad altezze diverse il primo piano, sopra le finestre del secondo e del terzo piano campiture rettangolari decorate a stucco con motivo di fogliame, dal tetto scendono pluviali intesi come elementi decorativi tutti elementi tipici dell’architettura di Max Fabiani (da: http://itinerari.comune.trieste.it/)
Sopra: Casa de Stabile - riva Grumula 4 – via Belpoggio 1 Per ogni costruzione accadono delle circostanze che mi stupiscono e che trovo interessante riportare. Ernesto de Stabile affidò a Max Fabiani il compito di progettare uno stabile quattro piani, pianoterra e cantine solo in minima parte destinato ad abitazioni. l'Ufficio Tecnico del Comune dopo aver visionato i disegni, definisce la decorazione della facciata poco elegante e comunque l'assenso per la costruzione deve venir dato anche dalla Direzione delle Ferrovie, perchè la costruzione si trova entro il raggio di fuoco dei binari della ferrovia Trieste-Erpelle, quest'ultima comunica parere favorevole purchè l'edificio sia costruito con materiale ignifugo e che vengano evitate aperture sul tetto dal lato dei binari o almeno che vengano munite di vetrate fisse, c'è inoltre la clausola di rinuncia di indennizzo in caso di incidenti. Il nulla osta per la costruzione dell'edificio viene rilasciato il 21 settembre 1905. Il de Stabile fa specifica richiesta all’architetto della realizzazione sulla facciata di erker molto sporgente che gli permettano di godere del panorama del mare, ma soprattutto di vedere tranquillamente da casa il suo yacht ormeggiato allo Yacht Club Adriaco. Fabiani cura personalmente anche gli arredi interni in stile secessionista con le stufe in maiolica e le vetrate colorate listate con il piombo. Il proprietario si riserva l’ultimo piano come abitazione padronale e destina il piano terra a caffé viennese, non so quale sia stato il primo, ma da moltissimi anni ha sede il bar-ristorante "Alla Transalpina". L'imponenza del palazzo deriva dal bugnato rustico che si eleva dal pianterreno fino al primo piano, le decorazioni a stucco di motivi vegetali ornavano anche il bow window ma dopo i danneggiamenti del secondo conflitto mondiale non sono state più ripristinate. Molto particolare e importante è il portone d'ingresso sulla via Belpoggio, sovrastato da un timpano sorretto da due volute .(Fonte Margherita Tauceri)

Tra riva Grumula e Campo Marzio con il Molo Fratelli Bandiera c'è Via Ottaviano Augusto.
Denominazione apposta nel 1905 dopo l'interramento di un tratto di mare vicino al Lazzaretto San Carlo. Il nome di Ottaviano Augusto (63 a.C.-14 d.C.) fu scelto in onore dell’imperatore che nel 33 a.C. fece ricostruire le mura cittadine. (fonte: Margherita Tauceri)





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